La quarta dimensione di Cixin Liu

Il secondo romanzo della trilogia de “Il Problema dei Tre Corpi”, mi aveva lasciato un po’ delusa, entusiasmandomi meno rispetto al primo volume, ma dando quello che mi sembrava essere una sorta di conclusione alla guerra contro i Trisolariani, ma ho voluto comunque finire la trilogia e devo dire che ne sono stata davvero entusiasta.

Trama: A mezzo secolo dall’Ultima Battaglia sembra essersi creato un equilibrio tra terrestri e Trisolariani: i primi beneficiano della conoscenza degli invasori spaziali e stanno compiendo grandi progressi tecnologici, mentre gli alieni stanno assimilando la cultura terrestre. Pare che le due civiltà siano pronte per iniziare una convivenza pacifica, tra eguali, senza l’assurda minaccia della reciproca distruzione. Tutto cambia quando Cheng Xin, ingegnere aerospaziale ibernata all’inizio del XXI secolo, si risveglia. La donna porta con sé il ricordo di un programma ormai dimenticato, risalente agli albori dell’Epoca della Crisi, e la sua sola presenza potrebbe alterare il fragile equilibrio instauratosi tra terrestri e alieni. L’umanità riuscirà a raggiungere le stelle, o morirà nella sua culla?

Con quest’ultimo libro, Cixin Liu mi ha sorpresa, con un romanzo che coinvolge e cattura, dove non solo la fisica torna a essere protagonista, ma con uno stile poetico ed evocativo di una straordinaria potenza visiva.

Il romanzo comincia spiazzando il lettore, dando l’impressione di trovarsi davanti più a una raccolta di racconti che a un romanzo. Poi, però, la storia ingrana ed ecco che ti trascina attraverso il tempo in un’universo sempre più grande, complesso e affascinante. 

Con quest’ultimo libro si conclude quindi una trilogia fantascientifica fatta di alti e bassi, ma sicuramente degna di nota. Una storia in cui si percepisce l’enorme amore dell’autore per la fisica e la fantascienza, ma anche tutto il suo vissuto, il suo passato a partire dalla Rivoluzione Culturale in Cina. Nell’intera trilogia, infatti, si percepisce un certo senso di ineluttabilità e di pessimismo, un destino nel quale gli esseri umani finiscono inevitabilmente col gettarsi con le loro stesse scelte. Nonostante questo pessimismo, però, a regnare è la speranza e la determinazione nell’andare avanti, nel cercare una soluzione e nel percorrere la strada giusta.

Dopo “Nella quarta dimensione” non posso quindi che consigliare questa trilogia, soprattuto agli amanti della fantascienza pura.  

 

La Diga di Blackwater

La saga di Blackwater è senza ombra di dubbio una delle serie di romanzi più strane e spiazzanti che io abbia mai letto, ma allo stesso tempo una delle più affascinanti. Sono solo al secondo volume di questa storia, ma devo ammettere che, per il momento, è ancora così.

Trama: 1922. Mentre Perdido si sta riprendendo dalla devastante inondazione, la costruzione di una diga è l’unico baluardo possibile contro la furia dell’acqua. Ma il cantiere riversa sulla cittadina il suo carico di imprevisti: la rivolta degli operai, il capriccio delle correnti, il mistero di alcune sparizioni. La matriarca Mary-Love si scontra con Elinor, ora parte della famiglia Caskey. Macchinazioni, alleanze innaturali, sacrifici: a Perdido i mutamenti saranno profondi, le conseguenze irreversibili. La lotta è appena cominciata.

Continua la saga della famiglia Caskey e degli abitanti di Perdido, in lenta ripresa dopo la terribile devastazione dell’inondazione. Tutto ruota attorno alla costruzione della diga del titolo, alla quale l’unica a opporsi è la misteriosa Elinor che sembra avere un legame particolare con il fiume, quasi ossessivo.

Una saga ben scritta e molto scorrevole, a tratti grottesca, che parla di ipocrisie e tradimenti, ma anche di rivincite e e riscatti da parte di personaggi che rivelano una forza e una determinazione inaspettati e per i quali ci troviamo inaspettatamente a fare il tifo. Al di là dei drammi e degli intrighi familiari, però, c’è un lato oscuro in questa storia, un aspetto sovrannaturale già accennato nel primo libro, ma che emerge ancora di più in questo secondo capitolo soprattutto nella parte finale, in una scena agghiacciante che spiazza il lettore portandolo inevitabilmente a chiedersi quale sia il segreto che si nasconde dietro a Elinor e alle acque del fiume. 

Come il primo volume della saga, anche La Diga mi ha colpita, lasciandomi con uno strano senso di inquietudine e straniamento, ma anche con tanta curiosità di leggere i capitoli successivi. Per il momento continuo a consigliare questa saga pur consapevole che non può piacere a tutti.

Sara Bennati e la sua Arianna

I miti Greci sono sempre stati fonte di ispirazione per opere di ogni tipo, ma non tutte riescono a trasmettere la forza e l’epicità delle storie originali, trasmettendo allo stesso tempo emozioni e grandezza. Beh, Sara A. Bennati, con la sua “Maledizione di Arianna” c’è riuscita.

Trama: Arianna, figlia del crudele Minosse, sovrano di Creta, è stata da sempre considerata solo un oggetto senza volontà, una merce da vendere al miglior offerente, non ha mai avuto la possibilità di scegliere il proprio destino. Per questo, quando il bellissimo Teseo, giunto a rinegoziare i termini della sottomissione di Atene, sembra interessarsi a lei, gli propone di aiutarla a fuggire portando con sé la madre Pasifae e le sorelle minori, per salvarle dagli abusi paterni. Ma i due vengono scoperti e rinchiusi nel labirinto presidiato dal mostruoso minotauro. In questa vasta struttura sotterranea, ricca di passaggi segreti e piani nascosti, che si snoda sotto l’isola e che nessuno sa quanto davvero sia estesa, Teseo rivelerà la sua natura più brutale, mentre gli ostaggi ateniesi verranno decimati a poco a poco. Arianna potrà contare solo su sé stessa e sull’aiuto di altre donne coraggiose come lei per ottenere la libertà, fuori dal labirinto, di essere la persona che vuole essere davvero.

Si dice che siano i vincitori a scrivere la storia e anche in questo caso, spesso, le uniche voci ascoltate sono quelle dei ricchi e dei privilegiati. Ma in ogni storia, in ogni mito o leggenda, ci sono altre voci che, spesso, rimangono ignorate: quelle delle vittime, degli inermi e dai deboli lasciati indietro e dati in pasto alla storia.

In questo romanzo, Sara Bennati mostra una versione diversa del mito del labirinto del Minotauro, mostrando il punto di vista delle “vittime”, non solo quelle offerte in sacrificio al mostro, ma anche quelle dello spietato Minosse, a partire dalla stessa Arianna che, da giovane rassegnata e sottomessa alle crudeltà del padre, si trasforma in qualcosa di diverso, trovando la forza di affrontare non solo il labirinto, ma anche i veri orrori che si celano dietro di esso. 

Una storia attraverso la quale l’autrice dà una voce forte ai deboli, una voce che è come una musica vibrante di forza e rabbia capace di trascinare e travolgere il lettore, coinvolgendolo a livello viscerale. Consigliatissimo.