Ci sono romanzi che compri un po’ per una serie fortuita di eventi, magari perché ne hai letto bene in un post di Instagram o perché, come in questo caso, perché lo hai trovato in offerta e la trama ti ha catturato abbastanza da farti venire voglia di leggerlo. Ho voluto provare “The Chan” proprio per la storia, che porta inevitabilmente a porsi una delle domande forse più difficili e allo stesso tempo semplici che un essere umano possa farsi: cosa saresti disposto a fare per salvare tuo figlio?
Trama: Mi chiamo Rachel Klein e fino a pochi minuti fa ero una madre qualunque, una donna qualunque. Ma adesso sono una vittima. Una criminale. Una rapitrice. È bastato un attimo: una telefonata, un numero occultato, poche parole. Abbiamo rapito tua figlia Kylie. Segui le istruzioni. E non spezzare la Catena, oppure tua figlia morirà. La voce di questa donna che non conosco mi dice che Kylie è sulla sua macchina, legata e imbavagliata, e per riaverla non sarà sufficiente pagare un riscatto. Non è così che funziona la Catena. Devo anche trovare un altro bambino da rapire. Come ha fatto lei, la donna con cui sto parlando: una madre disperata, come me. Ha rapito Kylie per salvare suo figlio. E se io non obbedisco agli ordini, suo figlio morirà. Ho solo ventiquattro ore di tempo per fare l’impensabile. Per fare a qualcun altro ciò che è stato fatto a me: togliermi il bene più prezioso, farmi precipitare in un abisso di angoscia, un labirinto di terrore da cui uscirò soltanto compiendo qualcosa di efferato. Io non sono così, non ho mai fatto niente di male nella mia vita. Ma non ho scelta. Se voglio salvare Kylie, devo perdere me stessa…”.
Il romanzo di McKinty si divide in due parti: la prima, più lineare, è incentrata sul rapimento della giovane Kylie e sui tentativi della madre Rachel di salvarla rispettando le crudeli indicazioni de suoi rapitori. La seconda invece, mostra come “la catena” continui a perseguitare Rachel e la sua famiglia anche dopo la fine del rapimento e i tentativi della donna di liberarsi definitivamente di essa. Proprio quest’ultima parte, rappresenta quello che potrei definire “l’anello debole”.
Se durante il rapimento di Kylie, ci si trova a empatizzare molto sia con lei che con la madre Rachel, avvertendo quasi quel clima di terrore e angoscia che le sta consumando, ecco che nella seconda parte del romanzo tutto sembra svolgersi in maniera fin troppo sbrigativa e semplicistica. La Catena perde la sua aura di mistero così come i suoi creatori che risultano piuttosto deludenti, non tanto per la loro storia (che viene descritta piuttosto bene) quanto per la fretta e la banalità con cui in pratica vengono “scoperti” nella parte finale. La tensione che c’era nei primi capitoli, infatti, si perde quasi del tutto a favore di una risoluzione frettolosa delle cose. Sia chiaro: non è un brutto romanzo. Solo che non lo metterei tra le priorità di lettura, ma mi limiterei a consigliarlo come “riserva” quando non si ha molto altro da leggere.


