(Ri)trovando One Piece

Quando ho saputo che sarebbe uscita la serie live action di One Piece e che sarebbe uscita su Netflix sono stata combattuta tra una grande euforia e il terrore più assoluto. Insomma, già Netflix non è famosa per i suoi successi in campo di adattamenti, poi come può una serie rendere giustizia a un’opera unica e complessa come il capolavoro di Eiichiro Oda?

Beh, inaspettatamente Netflix ce l’ha fatta. Sia chiaro, non è perfetta, ma pur avendo i suoi limiti e i suoi difetti questa serie è One Piece.

All’inizio forse si può fare un po’ fatica ad adattarsi allo stile particolare della serie e forse alcuni elementi possono risultare fin troppo artificiosi ed eccessivi, ma ci si fa presto l’occhio e anche le piccole sbavature finiscono con l’andare in secondo piano. Se un’altra nota “negativa” (metto negativa tra virgolette perché a mio avviso non conta poi tanto) è che la storia non segue al 100% il materiale originale, l’aspetto positivo è che quest’ultimo non viene snaturato anzi, l’essenza della storia rimane intatta, mostrando anche elementi che la vanno ad ampliare con dettagli che magari sono emersi nel corso dei numerosi anni di esistenza del manga. Quello che nell’anime si svolge in 45 episodi viene unito in una storia fluida e scorrevole con flashback che sono ben dosati e distribuiti con cura nell’arco delle 8 puntate da un’ora. Una grandissima nota di merito va anche agli attori che hanno davvero dato prova non solo di talento e capacità, ma anche e soprattutto di amare e rispettare profondamente i propri ruoli.

Sapete però qual è la cosa che mi ha convinto di più? Che mi ha fatto ridere, versare qualche lacrimuccia e alla fine mi sono ritrovata con un sorriso che poteva fare tranquillamente a gara con quello di Lufy. Sarà perché mi ha reso nostalgica, sarà perché mi ha fatto rivivere momenti del manga che ho adorato in un’ottica diversa, ma, per quel che mi riguarda, da questa serie non potevo chiedere di più.

Questa ovviamente è solo la mia impressione. Voi siete sempre libri di non prendermi troppo sul serio 😉

The Last of Us: tante speranze e dita incrociate.

Lunedì scorso è uscita la prima puntata in Italiano della serie televisiva “The Last Of Us” tratta dall’omonimo gioco della Naughty Dog e con protagonisti Pedro Pascal (per gli amici Mando XD) e Bella Ramsey.

Trama: Venti anni dopo lo scoppio di una brutale pandemia da Cordyceps che trasforma gli esseri umani in mostri simili a zombie, il cinquantenne Joel, un cinico contrabbandiere ormai privo di qualsiasi speranza verso l’umanità, è costretto in circostanze estreme a viaggiare attraverso gli Stati Unitiinsieme ad Ellie, una ragazzina di quattordici anni che non ha mai vissuto al di fuori della zona di quarantena. Ma quella che doveva essere all’inizio una semplice e veloce consegna, si tramuterà ben presto in un lungo e atroce viaggio che li segnerà per sempre.

La prima puntata trascina creando un clima di ansia crescente che si trasforma pian piano in un’angoscia quasi asfissiante. Per il momento a spiccare, è l’evoluzione (o meglio l’involuzione) della società dopo lo scoppio della pandemia, ma soprattutto il tormento di Joel, quel vuoto che si è impadronito brutalmente di lui trascinandolo in un barato di dolore dal quale sembra non poter riemergere. Nonostante questo però, la presenza degli infetti aleggia come una minaccia costante, aumentando ancora di più il clima di ansia della serie.

Una puntata quindi che mi ha creato molte aspettative per una serie che, se dove mantenere le promesse iniziali, potrebbe essere davvero il più bell’adattamento tratto da un videogioco mai fatto. Per ora fortemente consigliata anche perché ho letto che hanno dichiarato ufficialmente che ogni stagione (la seconda è già stata confermata) coinciderà a livello trama con quella di un videogioco, cosa che (spero) dovrebbe evitare l’effetto “allungamento d brodo” che c’è stato in altre serie del genere. Bon, vado a vedermi la seconda… e magari la terza in lingua originale… 😀

Dark, la serie tedesca sui viaggi nel tempo firmata Netflix.

Per la serie “meglio tardi che mai”, ecco una piccola recensione lampo su Dark la prima serie tv tedesca realizzata per la piattaforma Netflix.Ne sono stata attirata (e non sono stata la sola da quanto ho sentito) per via della “locandina” che richiamava molto le atmosfere e i temi di IT e la curiosità è diventata interesse a seguito di alcuni commenti molto positivi letti e sentiti qua e là.

Devo dire che all’inizio non mi ha convinta. Ho trovato le prima due puntate piuttosto lente e pesanti. Per fortuna però, già dalla fine del secondo episodio, la serie ha cominciato a ingranare sviluppandosi in diverse epoche e creando un intreccio tra passato e presente sempre più coinvolgente. Il centro di tutto infatti sono i viaggi temporali e i paradossi che ne conseguono nonchè le relazioni tra gli abitanti di una città relativamente piccola che si ritrova a fare i conti con un passato che sembra volersi ripetere. Certo non è una serie che spicca per l’azione eppure Dark è riuscita a catturarmi puntata dopo puntata fino a quando anche quei due primi episodi (apparentemente noiosi e inutili) non hanno acquistato maggior senso.

Una serie angosciante, cupa e ben strutturata, con un finale di prima stagione che mi ha lasciato con una gran voglia di andare avanti e ha creato una certa aspettativa per la seconda. La consiglierei quindi a chi ama le serie intricate alla Lost e le storie fantascientifiche sui viaggi nel tempo e i paradossi temporali. Questa ovviamente è solo la mia opinione. Voi siete sempre liberi di non prendermi troppo sul serio 😉