Ieri sera, zappando su Sky, mi sono imbattuta per caso in un film che ho trovato davvero interessante: “The Words”.
La prima particolarità di questo film é senza dubbio la sua struttura: inizia infatti con l’introduzione dello scrittore Clay Hammond (Dennis Quaid) intento in una lettura pubblica dal suo ultimo romanzo. In un attimo, attraverso le sue parole, ci troviamo catapultati nella storia di Rory Jansen (Bradley Cooper), giovane pieno di belle speranze, ma con poca fortuna che ha puntato tutto sul proprio sogno di riuscire a emergere come scrittore. I rifiuti da parte di agenti ed editori sono tanti così come i momenti di sconforto, soprattutto quando é costretto a chiedere a suo padre i soldi per poter arrivare a fine mese. Rory é costretto così a fare quello che molti aspiranti autori sono costretti a fare: trovarsi un lavoro di ripiego. (e a lui già va di culo visto che riesce a trovare un posto in una grossa casa editrice.) Durante il suo viaggio di nozze a Parigi, però, sua moglie Dora (Zoe Saldana) gli regala una vecchia valigetta da lavoro all’interno della quale Rory trova un vecchio manoscritto. La storia lo cattura così tanto che decide istintivamente di trascriverla a computer e, dopo una serie di circostanze, di proporlo a un editore come suo. Il successo arriva così rapidamente che Rory non ha nemmeno il tempo di pensare alla gravità del suo gesto finché un vecchio (Jeremy Irons), il vero autore del romanzo, non lo avvicina per raccontargli la dolorosa storia legata a quello scritto. Una storia nella storia raccontata attraverso le parole del celebre scrittore Clay Hammond che fino alla fine non sappiamo se sia solo una mente brillante e un talentuoso scrittore o vero protagonista dei fatti da lui narrati.
Come scritto nel titolo, questo é un film che secondo me molti scrittori dovrebbero vedere e per diversi motivi. Nella prima parte, quando Rory non era altro che un esordiente squattrinato, mi sono rivista nei suoi tentativi di provare a farsi notare, di tentare di capire come trovare uno spiraglio in una realtà difficile che ha alla base severe leggi di mercato. Ho riprovato quella frustrazione e quell’amarezza dei primi tempi, un’amarezza che in parte provo ancora oggi che sono nuovamente immersa nella ricerca di un editore, ma anche la determinazione a non mollare, a non rinunciare a tentare nonostante tutto.
La seconda parte, quella che segue il successo di Rory e l’entrata in scena del vecchio, mi ha fatto pensare molto all’egoismo che aleggia nell’ambiente editoriale Italiano. Oggi sembra quasi che sia per forza necessario calpestare gli altri, competere a tutti i costi e usare la scorrettezza per riuscire ad arrivare in alto. Tutto é lecito pur di farsi vedere, tutto va bene se é per riuscire ad emergere da quella che si considera, meschinamente, una frustrante mediocrità. Insomma le solite stronzate di chi soffre di un gigantesco complesso di inferiorità. Il problema però é che, come con Rory, sono spesso quelle persone ad avere successo, ma se c’é una cosa che questo film insegna é che comunque ogni azione ha delle conseguenze anche se magari non evidenti. Magari si può continuare ad avere successo e agli occhi di tutti si potrà avere una vita apparentemente perfetta, ma prima o poi si dovrà sempre fare i conti con le proprie scelte. Che sia il disprezzo verso se stessi o quello di una persona cara, un continuo senso di frustrazione o addirittura l’incapacità di far emergere davvero il proprio talento, le scorrettezze e gli inganni lasciano sempre un segno indelebile. Ogni azione ha le sue conseguenze, conseguenze che finiamo col portarci dentro e che ci logorano e scavano nel profondo. Una macchia indelebile che nessun tipo di successo può cancellare.
Il vero protagonista di questo film però sono le parole. Ciò che più mi ha toccato, guardandolo, è il modo in cui esse si caricano del peso delle esperienze di chi le ha scritte (in questo caso del vecchio), delle sue gioie e delle sue paure nonché di tutto ciò che lo ha portato a essere ciò che è. Per questo rubare le parole di qualcuno comporta un peso enorme perché è come rubare le emozioni di chi le ha scritte. Allo stesso tempo però mi ha ricordato ciò che col tempo ho avuto modo di imparare e cioè che scrittura e vita devono poter convivere. Solo vivere le emozioni ci può permettere di esprimerle al meglio e prediligere l’una al posto dell’altra ha sempre un prezzo molto, troppo alto.
Ovviamente comunque queste sono solo mie riflessioni personali su una realtà purtroppo non sempre “limpida”. Se non siete d’accordo con quanto scritto o se vi sentite in qualche modo chiamati in causa… Beh non prendetemi troppo sul serio 😉