Pubblicato in Italia da Multiplayer Edizioni, il terzo capitolo della saga post-apocalittica di Dmitry Glukhovsky riprende quasi direttamente le vicende del primo romanzo Metro 2033 creando una sorta di ponte di collegamento con il successivo Metro 2034. Allo stesso tempo però, si discosta in parte dai precedenti capitoli perdendo l’elemento prettamente “fantastico” per sfociare in una distopia cruda e violenta.
Trama:
Da quando una guerra nucleare ha devastato la Terra, gli ultimi moscoviti hanno cercato di sopravvivere costruendo una nuova civiltà nelle profondità della vecchia rete della metropolitana. Questa presunta sicurezza, però, si dimostra presto ingannevole: infatti, due anni dopo essere stati salvati da Artyom, gli abitanti sono minacciati da epidemie che mettono a rischio l’approvvigionamento di cibo e da conflitti ideologici sempre più gravi. L’unica salvezza pare risiedere in un ritorno in superficie: ma questo è ancora possibile? Contro ogni logica, Artyom tenta un viaggio senza speranza apparente verso un mondo il cui silenzio misterioso nasconde un terribile segreto…
Quello che forse mi ha lasciata un po’ perplessa di questo romanzo, o forse meglio dire spiazzata, è stata proprio la totale eliminazione dell’aspetto “horror” (I mostri! Perché mi avete tolto i mostri? 😦 ) a favore di quello politico. Gli elementi politici e le diverse ideologie presenti nella storia sono comunque sviluppati e inseriti magistralmente un’ambientazione cupa e realistica capace di trasmettere la giusta sensazione di ansia e claustrofobia. Lo stile inoltre è rimasto lo stesso dei precedenti capitoli e mantiene un ritmo equilibrato che certo non sarà da cardiopalma, ma che comunque non annoia né stufa il lettore.
Consiglio quindi comunque di leggerlo a chi ha già avuto modo di godersi i precedenti romanzi della serie, ma di approcciarsi ad esso con la consapevolezza di star leggendo qualcosa di decisamente diverso.
Questa ovviamente è solo la mia opinione. Voi siete sempre liberi di non prendermi troppo sul serio 😉