Nell’ultimo periodo non ho avuto modo di scrivere sul blog, un po’ per un periodo intenso al lavoro un po’ perché molto presa dalla stesura del nuovo romanzo, ma in gran parte perché mi è capitato di essere parte di una piccola avventura che ha preso tanto il sapore di una favola.
Stavo facendo qualche lavoretto in giardino, in uno dei miei rari sabati liberi, quando all’improvviso sentii il mio ragazzo gridare “Amore abbiamo dei bestiolini in giardino!” Mi sono girata e lui era chino su una piccola buca nel terreno all’interno della quale c’erano tre cuccioli di mini lepre appena nati, gli occhi ancora chiusi a indicare che dovevano avere meno di 4/5 giorni.
Quando li ho visti sentii il cuore battermi a mille. Erano meravigliosi!
Non sapendo bene come comportarci, abbiamo chiamato il centro recupero animali selvatici. Il veterinario con cui abbiamo parlato ci ha ovviamente consigliato di lasciare i piccoli nella tana e controllare se la madre tornava ad allattarli. Le lepri e le mini lepri infatti, di solito lasciano i cuccioli da soli durante il giorno e tornano ad allattarli solo una/due volte con il buio. La madre però non è tornata. Nel ritrovamento avevamo contaminato la tana.
Così decidemmo di allattarli almeno per quella domenica per poi portarli a inizio settimana al centro recupero animali selvatici. Quando il lunedì chiamai il centro per sapere con esattezza l’indirizzo, però, accadde una cosa che mi ha lasciò senza parole: mi son sentita dire che forse non valeva la pena fare tanta strada per portarli da loro, che quei cuccioli di solito aveva solo il 5% di possibilità di sopravvivere e che tanto quelle lepri facevano sempre molti cuccioli e che non tutti sopravvivevano.
Ci siamo trovati quindi davanti a una scelta: portare quei cuccioli in un posto in cui già li davano per spacciati o prenderci cura di loro sperando in quel piccolo 5%. Ovviamente l’idea di abbandonarli non ci sfiorò nemmeno. Così, dopo un’attenta riflessione io e il mio ragazzo abbiamo deciso di adottarli.
All’inizio li abbiamo tenuti nella loro tana natia. L’obbiettivo era cercare di interferire il meno possibile in modo che potessero essere poi pronti a ritornare alla vita selvatica una volta svezzati. Li allattavamo due volte al giorno, mattina e sera, con latte di capra in un biberon apposito. Prima di dare loro da mangiare ovviamente, sterilizzavamo con cura ogni cosa, dal biberon alla tettarella, all’imbuto con con cui poi travasavo il latte nel biberon scaldato.
Non è stato semplice, i tre cuccioli erano spaventati e in un primo momento non volevano mangiare quindi dovevamo avere pazienza e dedicare almeno un’ora/un’ora e mezza per far sì che bevessero i loro 10ml di latte a testa. Non ci sarei riuscita se il mio ragazzo non mi avesse aiutato sterilizzando tutto, portandomi tutto quello di cui avevo bisogno mentre allattavo, scaldando il latte quando serviva e aiutandomi a sgranchirmi le gambe quando non ce la facevo più a star seduta. Poi il martedì sera, a tre giorni dal ritrovamento, due dei tre cuccioli hanno aperto gli occhi. Il pensiero di essere stata la prima cosa che hanno visto è stata una delle emozioni più forti che io abbia mai provato.
Pochi giorni dopo l’adozione, il freddo e dei forti temporali ci hanno spinto a cambiare idea e a portarli in casa dove i tre cuccioli hanno vissuto dapprima in una cassettina di legno sistemata con cotone e erba secca in modo da riprodurre al meglio la loro tana natia.
Dopo poco, inoltre, trovammo un nome adatto per ognuno di loro: Tremotino (perché il più agitato e vivace dei tre), Pisciasotto (perché una volta, mentre lo allattavo, mi ha fatto la pipì addosso, continuando a farla per due minuti di orologio) e Gino (il più smilzo e timido della cucciolata).
I giorni sono passati rapidi e quando i leprotti hanno cominciato a mangiare un po’ di erbetta per conto loro, abbiamo anche iniziato a portarli fuori per periodi di tempo sempre più lunghi.
Erano animali selvatici e dovevano imparare a stare all’aperto per essere pronti al giorno in cui li avremmo lasciati andare.
Ma come tutte le favole, anche questa ha un suo momento oscuro: una mattina infatti, ho trovato il piccolo Tremotino senza vita, fuori dalla loro cassetta.Dio, quanto ho pianto. Vederlo immobile, con le gambe distese e gli occhi semichiusi mi ha devastata. Per i giorni successivi sono andata nella stanza in cui tenevamo i leprotti con il terrore di trovare morti anche gli altri due.Purtroppo sapevo che c’era il rischio che non ce la facessero. Del resto avevano solo il 5% di possibilità di farcela.
Pisciasotto e Gino però crebbero bene, in una gabbietta tutta nuova presa apposta per loro (un miniappartamento più che una gabbietta) finché un giorno Pisciasotto, diventato ormai un Ciccio Coniglio, non rifiutò il latte. Ormai era pronto, svezzato e in grado di mangiare e bere da solo.
Non mi sorprese più di tanto il fatto che quello stesso giorno riuscì a scappare della gabbietta, che avevamo messo fuori per farli stare un po’ all’aperto.
Fu un po’ triste non poterlo salutare come si deve, ma allo stesso tempo provai un misto di orgoglio, ansia ed emozione nella consapevolezza che lui era libero, autonomo e preparato a vivere la sua vita a dispetto di quel 5%.
Così rimase solo Gino, il piccolo delinquente gracilino che nei primi giorni tremava sempre come una foglia e sembrava l’unico a non dovercela fare.
Non ci volle molto prima che anche lui smettesse di prendere il latte. Avremmo voluto liberarlo il prima possibile, ma di nuovo, freddo e piogge ci convinsero a cambiare i nostri piani e a tenerlo con noi ancora un po’ nonostante i suoi diversi tentativi di fuga dalla sua super gabbia. Non ho idea di come facesse a passare tra sbarre sottili la metà di lui, ma vi giuro che quando gli girava riusciva a passarci attraverso.
Il giorno in cui anche Gino è andato via (questa volta liberato da noi, a circa un mese della loro adozione) fu il più bello e il più triste di tutta questa piccola avventura.
Sapevamo che sarebbe successo ma c’eravamo legati così tanto a quei piccoli leprotti che la loro assenza si fece sentire.
Poco tempo dopo però arrivò la piccola Urania a riempirci le giornate, ma… beh questa è un’altra storia. 🙂